SOMMARIO: Assegno di cura – Integrazione al minimo INPS – Riconoscimento contributivo del servizio militare obbligatorio coperto da ppo – Pensione privilegiata e costituzione posizione assicurativa presso l’INPS – Corresponsione degli interessi legali e della rivalutazione monetaria – Computo della indennità integrativa speciale nella buonuscita – Assegno per il nucluo familiare – Pagamento delle pensioni all’estero – Assoggettamento ad IRPEF di più pensioni e loro rivalutazione automatica – Revoca e modifica del provvedimento – Prestazioni pensionistiche indebite risultanti dal conguaglio tra pensione provvisoria e definitiva – Legge 14 maggio 2005, n. 80: prestiti ai pensionati.
Assegno di cura
Viene concesso, ai sensi dell’art. 5 della legge 23 aprile 1965,n. 488 ai titolari di pensione privilegiata per infermità tubercolare/ polmonare che non percepiscono assegno di superinvalidità nella misura di euro 49,57 annui ( 4,13 mensili) per gli ascritti dalla 2^ alla 5^ categoria e di euro 24,78 ( 2,06 mensili) per gli ascritti dalla 6^ alla 8^ categoria.
Per tale assegno, esente da imposizione fiscale, non è prevista la reversibilità, ne alcun adeguamento automatico.
Integrazione al minimo INPS
L’istituto dell’integrazione al minimo è disciplinato dall’art. 6 del D.L. n. 463/83, convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638 e successive modificazioni. Ai sensi del 3^ comma del citato articolo 6: “in caso di concorso di due o più pensioni integrabili al minimo l’integrazione spetta una sola volta ed è liquidata sulla pensione sulla quale è dovuto il trattamento minimo d’importo più elevato. A parità d’importo, se trattasi di pensioni a carico di gestioni diverse, l’integrazione viene corrisposta dalla gestione che ha liquidato la pensione più remota. Nel caso in cui concorrono una pensione diretta e una indiretta o di reversibilità a carico della stessa gestione, di ammontare inferiore al minimo ,l’integrazione compete sulla sola pensione diretta”.
Riconoscimento contributivo del servizio militare obbligatorio coperto da ppo
Con circolari n. 190 del 22 agosto 1989 e n. 156 del 14 giugno 1991, l’INPS ha rimosso la preclusione al riconoscimento, ai fini dell’AGO, dei periodi di servizio militare caratterizzati dalla liquidazione di una pensione privilegiata “ tabellare in quanto “ risarcitoria ed indennitaria”.
Secondo queste considerazioni, le sedi dell’Istituto procedono all’accreditamento della contribuzione figurativa per i periodi di servizio militare per i quali è liquidata detta pensione ai sensi dell’art. 67, ultimo comma del DPR n. 1092/73, in tutti i casi in cui non sussista diritto alla costituzione di posizione assicurativa.
La problematica è stata affrontata anche dal Consiglio di Stato con parere n. 870/90 del 19 febbraio 1991 e dal Ministero della Difesa – Direzione Gen. delle pensioni – che con nota concordante n. 17000/F/35 del 11 maggio 1991, ha evidenziato come: “ il servizio militare di leva, considerato per l’attribuzione della pensione privilegiata tabellare può essere valutato ai fini della liquidazione del trattamento di quiescenza normale, scaturente dal successivo servizio reso alle dipendenze dello Stato o di Ente locale amministrato dal Ministero del Tesoro.
Pensione privilegiata e costituzione posizione assicurativa presso l’INPS
Regolato dagli artt. 124 e 128 del DPR 1092/73 e richiamato, da ultimo, dall’art. 1861 del D.Lgs 15 marzo 2010, n. 66,l’istituto della “ Costituzione della posizione assicurativa”, sempre dovuto, d’ufficio e, per l’effettivo periodo prestato, si applica allorché il militare non matura il requisito minimo per il trattamento ordinario.
Se lo stesso assume successivamente servizio pensionabile presso una Amministrazione statale, si procede all’annullamento della posizione assicurativa e l’INPS è tenuto a rimborsare, senza interesse, l’ammontare dei contributi, salvo che l’interessato rinunci al computo, ai fini della pensione statale, del servizio militare cui si riferiscono i contributi stessi.
Se prima dell’assunzione in servizio pensionabile è stata conseguita pensione di invalidità, l’interessato, per ottenere il calcolo del servizio militare ai fini della pensione statale, deve rinunciare alla pensione di invalidità e rifondere all’INPS le rate riscosse, senza interessi.
In proposito la Corte dei Conti, Sezione II centrale, con sentenza n. 167/98, affermò il principio che nessuna norma vieta, però, la costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS per il periodo militare prestato dai cosiddetti “percentualisti”, cioè da coloro che, cessati dal servizio prima di aver raggiunto l’anzianità utile a pensione di quiescenza, riportarono infermità o lesioni dipendenti da causa di servizio ascrivibili ad una delle otto categorie ai sensi del 2^ comma dell’art. 67 del DPR 1092/73. In tali ipotesi, infatti, il servizio militare non è calcolato ai fini della pensione, in quanto il trattamento economico è pari ad una percentuale dell’ultimo stipendio in rapporto dell’invalidità contratta e pertanto può essere valutato ai fini d’altro trattamento pensionistico.
Tale orientamento confermato, in seguito, da alcune sentenze della Corte dei Conti del Lazio, del Piemonte e della Lombardia ha trovato un “ripensamento” da parte della II Sezione centrale d’appello e delle Sezioni Riunite della stessa Corte che con decisione 2/QM/2005 ha negato il diritto affermando che “il militare in servizio permanente o continuativo il quale cessi dal servizio senza aver conseguito il diritto a pensione ordinaria, ma con diritto alla pensione privilegiata ( di natura retributiva ) non ha diritto alla costituzione della posizione assicurativa prevista dall’art. 124 in ossequio al principio fondamentale e di generale applicazione nell’ordinamento delle pensioni dei dipendenti statali di divieto di doppia valutazione di un periodo di attività di tempo o di servizio e nel riflesso che la pensione privilegiata assorbe l’importo della pensione normale e lo integra, venendo così a sostituire, eventualmente anticipandolo, il trattamento di pensione normale”.
In aggiunta ai casi sopra citati l’art. 1862 del D.Lgs 15 marzo 2010, n. 66 ha ulteriormente chiarito che non si dà luogoalla costituzione di posizione assicurativa in caso di titolarità di trattamento pensionistico privilegiato tabellare.
In senso ulteriormente restrittivo, collegato alle più recenti misure di contenimento della spesa pubblica, è da evidenziare l’art. 12 undecies della legge 122/2010 che ha abrogato il contenuto dell’art. 124 del DPR 1092/73, mantenendo “ in vita” l’Istituto esclusivamente per il personale militare volontario di cui all’art. 128 dello stesso decreto presidenziale.
Corresponsione degli interessi legali e della rivalutazione monetaria
Come precisato dalla Corte dei Conti a Sezioni Riunite, con sentenza n. 10/2002/QM del 18 ottobre 2002, gli interessi legali e/o la rivalutazione monetaria sono elementi essenziali del diritto di credito pensionistico soddisfatto con ritardo.
Con decreto del Ministero del Tesoro 1 settembre 1998,n. 352 sono stati regolamentati i criteri per la corresponsione degli interessi legali e della rivalutazione monetaria ai crediti concernenti retribuzioni , pensioni e provvidenze di natura assistenziale spettanti ai dipendenti pubblici e privati in attività di servizio o in quiescenza titolari sia di pensioni ordinarie che privilegiate.
Sul problema della liquidazione d’ufficio , a decorrere dal 1 gennaio 1992, di tali emolumenti per ritardato pagamento dei trattamenti di pensione, l’INPDAP, tenuto conto del costante orientamento della giurisprudenza, con informativa n. 62/2001, ha fornito, in seguito, le seguenti indicazioni e chiarimenti:
– se l’emissione del decreto di pensione è intervenuto entro il 31.12.91, l’eventuale ritardo dell’attribuzione dell’assegno non comporta l’obbligo di corrispondere d’ufficio gli interessi;
– per il combinato dell’art. 16, comma 6 della legge n. 412/91 e dell’art. 45, comma 6 della legge n. 448/98, è stata unificata la data del 1.1.92, dalla quale è consentito il cumulo tra rivalutazione monetaria e interessi legali, nei limiti della differenza tra la prima e i secondi;
– fino al 15 dicembre 1990, sono dovuti gli interessi nella misura legale del 5% e la rivalutazione monetaria;
– dal 16.12.90 al 31.12.91 competono solo gli interessi nella misura del 10%
– dal 1.1.92 l’importo dovuto a titolo di interessi legali è portato in detrazione delle somme spettanti a titolo di rivalutazione monetaria per il maggior danno subito;
– gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sono calcolati separatamente sulla voce capitale,sull’ammontare nettodel credito (Consiglio di Stato – Sezione VI – Dec. n. 1206 del 10 marzo 2004) tenendo conto delle scadenze legali d’ogni singolo rateo pensionistico fino alla data del soddisfo.
Variazione della misura del saggio degli interessi legali
L’art. 2, comma 185 della legge n. 662/96 nel fissare al 5% annuo il saggio degli interessi legali di cui all’art. 1284 del codice civile, ha previsto che il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha facoltà, con proprio decreto, di modificare detta misura sulla base del rendimento medio annuo dei titoli di Stato e tenuto conto del tasso d’inflazione registrato nell’anno.
Per effetto di tale disposizione il Ministero ha provveduto, nel corso degli ultimi anni, a modificare tale valore nelle seguenti misure: fino al 15.12.90 – 5%; dal 16.12.90 al 31.12.96 – 10%; dal 1.1.97 al 31.12.98 – 5%; dal 1.1.99 al 31.12.2000 – 2,5%; dal 1.1.2001 al 31.12.2001 – 3,5%; dal 1.1.2002 – 3%; dal 1.1.2004 – 2,5%; dal 1.1.2008 – 3%; dal 1.1.2010 – 1%, dal 1.1.2011 – 1,5% – dal 1.1.2012 – 2,5% – dal 1.1.2014 – 1% – dal 1.1.2015 – 0,5%
Computo della indennità integrativa speciale nella buonuscita
La legge 29 gennaio 1994, n. 87 ha introdotto una nuova disciplina dell’indennità di fine servizio, eliminando alcuni privilegi e sperequazioni esistenti tra il settore pubblico e quello privato. Pertanto, dal 1 dicembre 1994, l’indennità integrativa speciale è considerata nella base di calcolo della buonuscita nella misura annua, rispetto a quella goduta alla data della cessazione: a) del 60% per i dipendenti della Pubblica amministrazione, b) del 30% per i dipendenti degli enti parastatali.
Con sentenza n. 103/95 la Corte Costituzionale dichiarò non fondate alcune questioni di legittimità di tale legge che censuravano: a) la differente e penalizzante quota percentuale d’indennità da calcolare in favore dei dipendenti degli enti pubblici non economici,rispetto a quelli della Pubblica amministrazione, b) la previsione che le somme dovute non davano luogo a concessione d’interessi e rivalutazione monetaria,c) la mancata applicazione delle norme ai dipendenti cessati dal servizio prima del 1984, in conformità a “scelte di politica economica necessarie al reperimento delle risorse finanziarie e che la legge si presenta come una prima, adeguata risposta rispetto alla futura omogeneizzazione dei trattamenti pensionistici dei lavoratori pubblici e privati”.
Assegno per il nucleo familiare
Rientrante nella normativa del trattamento economico di famiglia è stato istituito con legge n. 153/1988. Non costituente reddito ed esente da qualsiasi trattenuta IRPEF, è determinato in base alla consistenza numerica e reddituale del nucleo familiare e alla sua condizione (presenza o meno d’entrambi i coniugi, esistenza o meno d’inabili, divorziati, celibi, ecc).
L’assegno base, come individuato dalla legge istitutiva, ha subito nel corso degli anni diversi incrementi volti soprattutto a sostenere le famiglie numerose e con basso reddito familiare; l’importo dell’assegno è stabilito sulla base delle tabelle rivalutate annualmente nelle quali sono determinati gli scaglioni di reddito e gli importi.
Più in particolare il comma 11 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007 ( legge 27 dicembre 2006, n. 296) ha modificato l’impostazione generale dell’assegno per il nucleo familiare, nel senso che lo stesso non è più rivolto solo alla famiglia, ma anche al numero dei figli presenti ed elevando i livelli di reddito e gli importi annuali, a decorrere dal 1 gennaio 2007, ai:
a) nuclei familiari con entrambi i genitori o almeno un figlio minore in cui sono presenti componenti inabili;
b) nuclei familiari con un solo genitore e almeno un figlio minore in cui non siano presenti componenti inabili.
Sempre da tale data sono stati rivalutati gli importi degli assegni per tutte le altre tipologie di nuclei familiari nei quali sono compresi figli e, nel caso di nuclei con più di tre figli o equiparati d’età inferiore a 26 anni compiuti, ai fini della determinazione dell’assegno rilevano al pari dei figli minori anche i figli d’età superiore a 18 anni compiuti e inferiore a 21 compiuti purché studenti o apprendisti.
La rivalutazione delle tabelle è effettuata sulla base delle variazioni, comunicate dall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo nell’anno precedente ed è ufficializzata con circolare del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato. Il reddito da prendere in esame è quello conseguito dal nucleo familiare nell’anno precedente, ove il primo luglio è la data valida per la concessione dell’assegno fino al 30 giugno dell’anno successivo.
L’ANF è concesso in un unico assegno e non è cumulabile con altro assegno o diverso trattamento di famiglia in ogni modo spettante, non è soggetto a ritenute IRPEF né a quella previdenziali e non concorre a formare la base imponibile sia ai fini fiscali che contributivi.
Il suo diritto si prescrive con il decorso di 5 anni da quando è sorto, ciò significa che possono essere richiesti gli arretrati per un periodo di tempo fino a cinque anni dalla data della domanda.
A chi spetta
Ai nuclei familiari composti di: 1) entrambi i coniugi, con esclusione del coniuge legalmente separato ( la separazione deve risultare da sentenza e gli ex coniugi non vivano insieme) o di quello che abbia abbandonato la famiglia, 2) dai figli ed equiparati minori d’anni 18; sono esclusi i figli naturali, riconosciuti da entrambi i genitori che non convivono con il richiedente e quelli naturali del richiedente coniugati che non siano stati inseriti nella sua famiglia legittima e quelli minorenni o maggiorenni inabili che si siano coniugati 3) dai figli maggiorenni inabili, nell’assoluta e permanente impossibilità a dedicarsi a proficuo lavoro e, alle stesse condizioni, dai fratelli, sorelle e nipoti purché orfani di entrambi i genitori, senza diritto alla pensione ai superstiti.
Integrazioni
A decorrere dal 1 gennaio 1996, ai sensi dell’art. 3,comma 3 della legge 550/1995, ove competa l’assegno per il nucleo familiare, vanno attribuite ulteriori maggiorazioni d’euro 10,33 per ogni figlio, escluso il primo, ed un successivo aumento d’euro 43,39 per ogni figlio esclusi i primi due
Elementi alla formazione del reddito
Concorrono a formare il reddito del nucleo familiare: 1) ogni reddito assoggettabile ad IRPEF, sia esso derivato da lavoro dipendente, autonomo, professionale o dall’esercizio di un’impresa, 2) redditi derivanti da terreni e fabbricati, 3) il reddito dell’abitazione principale al lordo delle deduzioni fiscali, 4) emolumenti a tassazione separata al netto dei contributi e al lordo dell’IRPEF ,5) gli arretrati di retribuzione o pensione e le rendite derivanti da BOT, CCT ed altri titoli dello Stato, da interessi su conti correnti bancari postali 6) gli assegni alimentari corrisposti dal coniuge in caso di separazione o di divorzio,con esclusione della quota destinata ai figli, 7) i redditi prodotti all’estero che, se fossero prodotti in Italia, sarebbero tassati, e le pensioni liquidate da organismi esteri o internazionali.
Non sono calcolati nel reddito familiare complessivo: 1) i trattamenti di fine rapporto, 2) le pensioni privilegiate tabellari (militari di leva), 3) le pensioni di guerra e le rendite INAIL,4) gli assegni di super invalidità sulle pensioni privilegiate
Pensioni tabellari ed attribuzione delle quote d’aggiunta di famiglia
Con circolare n. 699 del 19 luglio 1996, Il Ministero del tesoro – Direzione Gen. servizi periferici – impartì le opportune indicazioni per il ripristino o la concessione – in favore dei titolari di pensione privilegiata tabellare – delle quote d’aggiunta di famiglia in sostituzione dell’assegno per il nucleo familiare soppresso dalla circolare n. 464/92.
In particolare il Dicastero precisò:
– dal 1988 o, eventualmente dalla data della sua soppressione, compete dietro presentazione di specifica domanda (si applica la prescrizione quinquennale) e l’importo delle quote anzidette è pari a lire 19.760 (euro 10,21) per il coniuge e figli a carico e lire 4.870 (euro 2,52) per i genitori;
– per il nucleo familiare s’intende quello costituito dal pensionato, (che non presta opera retribuita alle dipendenze di terzi) dal coniuge non legalmente separato, dai figli minori degli anni 18 (anche se non a carico), e da quelli maggiorenni e dai genitori (solo se a carico)
– le quote di aggiunta di famiglia non sono cumulabili con l’eventuale godimento, su altro trattamento pensionistico o di lavoro, dell’assegno per il nucleo familiare, ne siano percepite da altre persone per gli stessi familiari.
E’, inoltre, da precisare come la concessione è subordinata anche al reddito complessivo goduto nell’anno precedente dal nucleo familiare, dove i limiti di reddito vengono stabiliti in base ad apposite tabelle.
Pagamento delle pensioni all’estero
Al momento di trasferirsi in uno Stato estero il pensionato INPS ex INPDAP può decidere se riscuotere la propria pensione direttamente nello Stato in cui si stabilisce oppure conservare il pagamento in Italia.
Nel primo caso la richiesta va presentata alla sede provinciale o territoriale che si occupa del pagamento, questa a sua volta provvederà poi a trasferire la partita di pensione all’Ufficio Estero della Sede Roma 4.
Chi si trasferisce nei Paesi membri dell’Unione monetaria europea può chiedere l’accreditamento della pensione su conto corrente bancario o postale estero o l’emissione di un assegno bancario in Euro. Coloro che stabiliscono la residenza in uno Stato fuori dell’U.M.E dovranno contattare,invece, via e-mail l’Ufficio pensioni estero per avere informazioni sulle modalità di riscossione della propria pensione.
Chi, pur risiedendo all’estero, è domiciliato in Italia può chiedere l’accreditamento della pensione su un conto corrente bancario o postale italiano e tutte le comunicazioni verranno inviate al domicilio indicato sulla richiesta.
Relativamente al trattamento fiscale dei redditi da pensione, il Governo italiano ha stipulato accordi bilaterali con un gran numero di Paesi esteri per un trattamento fiscale unitario e le informazioni sulle singole convenzioni internazionali in vigore sono riportate nel sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Assoggettamento ad IRPEF di più pensioni e loro rivalutazione automatica
L’art. 8 del decreto legislativo n. 314/1997, con decorrenza 1 gennaio 1998, ha introdotto nella normativa del Casellario centrale dei pensionati gestito dall’INPS, un nuovo sistema di applicazione della ritenuta fiscale in caso di concorso di due o più pensioni , soggette ad IRPEF, erogati dallo stesso o da Enti diversi, al fine di consentire, tra l’altro, l’esonero dei titolari dall’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi. Ricordando che:
– a partire dal 1 gennaio 1999, l’art. 34 della legge 448/1998 ha regolato i criteri e le modalità di determinazione degli aumenti di perequazione automatica per i titolari di più pensioni;
– a decorrere dal 1 gennaio 2004, in applicazione della circolare dell’Agenzia delle Entrate n.57/2003, la tassazione sulle pensioni per i titolari di più trattamenti avviene in misura proporzionale agli imponibili delle singole pensioni.
Il Centro calcolo pensioni provvede a normalizzare, con effetto dal 1 gennaio di ogni anno, i pagamenti eseguiti sulle partite e, quindi, a rideterminare la rata continuativa di pensione. Le differenze a credito o a debito tra l’IRPEF gravante sulla pensione e quella ricalcolata sono regolarizzate nei mesi successivi.
Revoca e modifica del provvedimento
Ai sensi dell’art. 203 e seguenti del DPR 1092/73, il provvedimento definitivo di pensione può essere revocato o modificato dall’ufficio che lo ha emesso. In particolare questo può aver luogo: a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti agli atti; b) vi sia stato errore nel calcolo dei servizi o dei contributi di riscatto, nel calcolo della pensione o assegno o indennità o nell’applicazione delle tabelle che stabiliscono le aliquote e l’ammontare della stessa; c) siano stati trovati documenti nuovi dopo l’emissione del provvedimento; d) il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi.
La revoca e la modifica sono effettuate d’ufficio o a domanda dell’interessato entro il termine di 3 anni dalla data di registrazione del provvedimento, entro 60 giorni, dal ritrovamento di documenti nuovi o dalla notizia della falsità dei documenti.
Prestazioni pensionistiche indebite risultanti dal conguaglio tra pensione provvisoria e definitiva
Sulla problematica l’INPDAP con nota operativa n. 22 del 1 giugno 2005 e circolare n. 50 del 6 dicembre 2005, emanò una serie di chiarimenti per le quali sussisteva, in capo all’Ente datore di lavoro, l’obbligo di determinare un trattamento provvisorio.
In modo specifico l’Istituto ha ricordato come la materia è regolata dall’art. 162 del DPR 1092/73, come sostituito dall’art. 7 del DPR 138/86 per i disdenti civili e militari dello Stato e dall’art. 8 del DPR 538/86 per gli iscritti alle Casse degli ex Istituti di previdenza il quale prevede, al 2 comma, che al di fuori dell’ipotesi di fatto doloso dell’interessato l’Ente responsabile nella determinazione della pensione (anche se materialmente erogata dall’INPDAP come trattamento provvisorio) è tenuto a rifondere le somme indebitamente corrisposte, salvo rivalsa verso l’interessato stesso.
In proposito, con sentenza n. 1/QM/1999, la Corte dei Conti a Sezioni Riunite ha stabilito che, in tema di indebito formatosi sulle pensioni provvisorie è del tutto irrilevante la buona fede del percettore , il quale non è legittimato ,proprio perché il relativo trattamento è di per sé soggetto a rettifiche, a formarsi un ragionevole affidamento circa la stabilità e la correttezza della pensione stessa.
In seguito però ad un successivo contrasto giurisprudenziale, la Corte dei Conti – SS.RR. con sentenza n. 7/2007/QM dopo un’ampia panoramica della normativa ha espresso la seguente posizione: “ in assenza di dolo dell’interessato, il disposto dell’art. 162 del DPR 1092/73 deve intendersi nell’ambito della disciplina contenuta nella legge 241/1990 ( che impone precisi termini di durata per ogni procedimento amministrativo), per cui a decorrere dall’entrata in vigore di detta legge ( 2 settembre 1990) decorso il termine per l’emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza non può più effettuarsi il recupero dell’indebito”.
Legge 14 maggio 2005, n. 80 – prestiti ai pensionati
Con decreto del Ministero dell’Economia e Finanze n. 313 del 27.12.06 di attuazione dell’art. 13 bis della legge n. 80/2005, è stato esteso anche ai pensionati la facoltà di contrarre prestiti con banche ed intermediari finanziari verso cessione della pensione fino al “ quinto” della stessa.
I prestiti non possono avere la durata superiore a 10 anni e devono essere coperti da assicurazioni sulla vita.
Sulla base delle disposizioni impartite dall’INPDAP con circolare n. 8 del 30.3.07, la pratica di cessione può essere notificata all’Istituto dopo che siano stati espletati i seguenti adempimenti:
1) accreditamento presso l’Istituto cessionario,
2) certificazione della quota massima di pensione cedibile,
3) controllo del tasso applicato al finanziamento
4) verifica della copertura assicurativa sulla vita sottoscritta dal pensionato.
Dovendo però salvaguardare un importo minimo del trattamento pensionistico ( euro 495,00 per l’anno 2013), non gravando eccessivamente sul pensionsto, lo stesso legislatore ha previsto che la cessione non può essere chiesta a carico di trattamenti assistenziali /risarcitori quali le pensioni sociali e d’invalidità civile erogati dall’INPS e le pensioni privilegiate tabellari a carico delle Ragionerie territoriali dello Stato.